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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
LA CONTRODEMOCRAZIA
[La Repubblica, 3 novembre 2015]

Non è facile governare, in Italia. A nessun livello. Al di là dei limiti della classe politica, l'azione dei gruppi dirigenti è frenata da molti vincoli. Istituzionali e legislativi. Volti a impedire lo sconfinamento dei poteri politici in ambito economico, sociale. E nella sfera dei diritti dei cittadini. La tiranno-fobia, alimentata dall'esperienza del fascismo, ha contribuito, in fase costituente, a rafforzare i poteri di controllo. Perché "ogni buona costituzione è un atto di sfiducia nei confronti del potere", osservava Benjamin Constant nel 1829. Così, le istituzioni di garanzia, per prima la magistratura, hanno assunto grande autorità. Anche se i poteri " politici" hanno cercato, spesso, di neutralizzarla. Fino a quando, nei primi anni Novanta, Tangentopoli ha travolto la classe politica della cosiddetta Prima Repubblica. Indebolita dagli scandali per corruzione. Da allora, magistrati, giudici, avvocati, insomma, le diverse istituzioni e figure del sistema giudiziario, hanno assunto un ruolo prioritario. Più che "garanti della giustizia": "giustizieri". Nel senso che i cittadini hanno affidato loro il compito di "giustiziare" la classe politica, inefficace e - appunto - corrotta. "Garanti della pubblica virtù", li definì Alessandro Pizzorno. In grado di delegittimare un leader, un partito, un'amministrazione. Tanto più al tempo della " democrazia del pubblico", dove i media e, soprattutto, la televisione hanno costituito il principale spazio della politica. Il centro dell'opinione pubblica.

Da allora, cioè, negli ultimi vent'anni, i "professionisti della giustizia", oltre che garanti, sono divenuti attori politici di primo piano. Magistrati e avvocati sono, infatti, numerosi: alla Camera e in Senato. Ma anche fra i sindaci e i governatori. Oppure, fra i "custodi" della legalità, in occasione di manifestazioni dove l'interesse pubblico si associa a grandi interessi economici e commerciali. Come l'Expo e le celebrazioni - imminenti - per il Giubileo. Allora la figura del magistrato, ma anche del prefetto, insomma: del "garante del bene pubblico", è divenuta una soluzione, quasi, obbligata. Per ragioni di "sfiducia" nei confronti del potere politico. Per citare un altro filosofo francese, in questo caso contemporaneo, Pierre Rosanvallon, l'Italia è un caso esemplare di "contro-democrazia". Che non significa anti-democrazia, ma "democrazia della sorveglianza". Dove la sfiducia si traduce in controllo democratico. Esercitata dai magistrati, ma anche da movimenti, comitati e dagli stessi cittadini. Soprattutto dopo l'avvento di Internet, che è divenuto un canale di controllo e denuncia largamente accessibile e frequentato.

Per questo, il nostro Paese dovrebbe essere considerato una "vera" democrazia. Benjamin Constant ne sarebbe ammirato. Perché, se la sfiducia è una "virtù democratica", l'Italia dovrebbe essere una democrazia particolarmente virtuosa. Visto che le istituzioni rappresentative sono sempre più "sfiduciate" dai cittadini. Parlamento, Regioni, Comuni. Perfino la fiducia verso lo Stato oggi non supera il 15% (Sondaggi Demos). Cioè: la metà rispetto al 2010. Mentre la fiducia nei partiti - lo abbiamo ripetuto spesso - è ormai scesa al 3%. D'altronde, oggi, oltre vent'anni dopo Tangentopoli, secondo il 47% degli italiani, la corruzione politica sarebbe più diffusa di allora. Secondo il 42%: allo stesso modo. Meno del 10% pensa, al contrario, che sia diminuita. Insomma, partiti e politici: tutti corrotti, proprio come allora.

Anche per questo, da molti anni, per ricoprire cariche e ruoli di amministrazione e di governo, si cercano figure "non politiche". Come confermano le recenti vicende romane. Dove al posto del sindaco Ignazio Marino, chirurgo trapiantista, sfiduciato dai consiglieri comunali, è stato nominato commissario Francesco Paolo Tronca, prefetto di Milano. Alla guida dell'Expo. A Roma era già stato chiamato Franco Gabrielli. Anch'egli prefetto. In precedenza direttore del Sisde. Fra i possibili candidati sindaci, si parla di Giovanni Malagò, Alfio Marchini. Non per caso: " non politici". D'altronde, a Napoli governa De Magistris, in Puglia: Emiliano (già sindaco di Bari). Entrambi magistrati. A Venezia è divenuto sindaco Luigi Brugnaro, imprenditore. Sfidato da Felice Casson, a lungo magistrato della città.

Il problema, semmai, in Italia, è che la contro-democrazia è "una" faccia della democrazia. Che è anche "governo". Ma in Italia l'azione di governo risulta più faticosa del contro-governo. Non per caso, il Movimento 5 Stelle, percepito dagli elettori come uno strumento di "sorveglianza democratica", secondo i sondaggi, oggi avrebbe superato il 27%. E si starebbe avvicinando al PdR. Mentre si assiste al declino dei canali della rappresentanza e della partecipazione. I corpi intermedi e i partiti: tradizionali canali di formazione della classe politica. E di promozione dei valori e delle domande sociali.

Il trionfo della contro-democrazia, però, sta logorando i suoi stessi protagonisti. La fiducia nei magistrati, infatti, fra i cittadini, dal 47%, nel 2003, è scesa al 35% nel giugno 2015. Tuttavia, anche se non è popolare (e neppure populista) affermarlo, io ritengo che una democrazia (rappresentativa) senza partiti non esista. Non sia "democratica". La politica, i politici: non possono essere rimpiazzati da magistrati, prefetti, imprenditori, giudici, avvocati, chirurghi. Scelti on demand perché "impolitici". Senza generare un senso di "vuoto". D'altronde, 7 persone su 10, in un sondaggio (Demos) di alcuni mesi fa, sostenevano che, in questo clima di confusione, "ci vorrebbe un uomo forte a guidare il Paese".

Matteo Renzi interpreta questi tempi inquieti. Li traduce "a modo suo". Per quanto "politico di professione" che rivendica il primato della politica, Renzi: decide (o dice di farlo) "da solo". È il premier di un governo
"personale", il segretario di un partito che non c'è (più). Alla guida di un Paese dove non ci si fida di nessuno. Emblema di un presidenzialismo preterintenzionale, che sfida attori e vincoli della contro-democrazia. Specchio di una democrazia liquida. Fin troppo.

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