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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
ROMA NON TOLLERA I COMPRIMARI
[La Repubblica, 12 ottobre 2015]

Le dimissioni di Ignazio Marino annunciano una fase dagli esiti non chiaramente decifrabili. Pare, infatti, improbabile che il sindaco lasci l'incarico senza disseminare di trappole il percorso di chi lo spinge a uscire di scena al più presto. Per primo, il suo partito, il Pd. E il segretario, Matteo Renzi. Eppure, le sorti di questa amministrazione e del suo capo erano scritte, da tempo. Dettate, anzi: imposte, dalla crescente sfiducia dei cittadini verso l'amministrazione e le istituzioni, oltre che verso il sindaco. Basta rileggere, a questo proposito, i dati del sondaggio condotto da Demos per Repubblica , pochi mesi fa. Quasi 7 cittadini su 10, allora, esprimevano un giudizio negativo sul lavoro svolto dalla giunta Marino. D'altronde, oltre metà dei romani ritenevano che la Capitale fosse governata peggio rispetto alle altre principali città italiane. Marino, dunque, non disponeva da tempo del consenso necessario a governare Roma. Il che non significa che fosse privo di consenso. Come dimostrano le manifestazioni di solidarietà in suo sostegno, che si stanno svolgendo in questi giorni. Ma si tratta, comunque, di un orientamento limitato. Solo un quarto dei romani, infatti, affermava l'intenzione di votare nuovamente per Marino, in caso di nuove elezioni. Mentre oltre il 70% escludeva questa possibilità.

Certo, nei tre mesi trascorsi da quel sondaggio sono avvenute molte cose. Ma è difficile immaginare che questi orientamenti si siano rovesciati. Che il consenso dei romani verso Marino sia cresciuto al punto da ri-conquistare la maggioranza. Anche perché le ragioni di sfiducia sono diverse e profonde. Riguardano la viabilità, la manutenzione delle strade, la gestione dell'immigrazione e dei campi rom. Che suscitano l'insoddisfazione di 8 - o più - cittadini su 10. Poco più, comunque, del malessere sollevato dal problema della criminalità e della sicurezza. Anche perché il "mondo di mezzo" scoperto e scoperchiato, neppure un anno fa, dalle indagini dei magistrati, è ritenuto molto più di una deviazione. Assai più di un fenomeno ampio, ma delimitato. Infatti, la Mafia (nella) Capitale è considerata (molto o abbastanza) diffusa da quasi 9 romani su 10. Praticamente: da tutti.

In "mezzo" a questo "mondo", Ignazio Marino era percepito come un estraneo. Secondo alcuni, un "marziano". "Ir-responsabile" del contesto malavitoso cresciuto intorno a lui. Una persona sostanzialmente "onesta" e "modesta". Incapace di fronteggiare i problemi della città e della vita quotidiana. E, ancor più, di contrastare il fenomeno mafioso che infiltra le istituzioni, le azioni e gli attori pubblici. Per questi motivi, la bufera politica che ha investito il sindaco Marino era largamente annunciata. Dall'insoddisfazione verso le politiche dell'amministrazione e verso il sindaco. Perché (ir)responsabile del degrado cresciuto intorno a lui. A sua insaputa.

In fondo, alcuni episodi che hanno accentuato la crisi di credibilità del sindaco dipendono proprio dalla reazione di Marino all'immagine di "marginalità" e di "irresponsabilità" in cui era - ed è - imprigionato. In particolare, il viaggio a Filadelfia, in occasione della visita di papa Francesco negli Usa. Senza riuscire a incontrarlo. Da pellegrino, invece che da invitato. Lo ha delegittimato ulteriormente. Ne ha enfatizzato il divario fra ambizione e realtà. Vizio imperdonabile per chi deve "rappresentare" - cioè: raffigurare, offrire identità a - Roma Capitale.

Le stesse rivelazioni sull'uso delle carte di credito del Comune per spese personali hanno danneggiato Marino soprattutto a causa della (relativa) "mediocrità" delle vicende e delle cifre contestate.

Così Marino rischia di venire "espulso" perché incapace di assumere un ruolo da protagonista sulla scena pubblica della Capitale, che non tollera comprimari né, tanto meno, figure mediocri. Tanto più - tanto meno - nella Seconda Repubblica, fondata sui media e sui sindaci. E ciò costituisce un problema serio, non solo per Marino e per Roma. Ma, in generale, per i partiti nazionali e, in particolare, per il Pd. Nato dall'esperienza dei sindaci. Di Napoli, Venezia, Torino. E, soprattutto, Roma. Che ha fornito all'Ulivo e al Pd leader nazionali, come Rutelli e Veltroni. Non per caso le elezioni del 2008 - segnate dalla vittoria di Berlusconi in ambito nazionale e di Alemanno a Roma, ma anche dalla parallela sconfitta di Veltroni alle politiche e di Rutelli a Roma - hanno segnato una svolta critica nel percorso del Pd, appena nato.

Oggi, 7 anni dopo, il problema di Roma appare ancora lo specchio di quello nazionale. E viceversa. Perché il Pd è "governato" da un sindaco, Matteo Renzi, che ha rafforzato il profilo "personale" del partito. Così, la soluzione a chi verrà "dopo Marino" viene cercata, ancora, inseguendo nuovi nomi, nuovi volti. Interpreti della "buona politica" (quale? dove?) o della "società civile" (come, d'altronde, si era presentato lo stesso Marino, nel 2013). Rinunciando, invece, alle "primarie", sulle quali si è costruito il rapporto del Pd con la società. La scelta del candidato verrà, dunque, assunta e risolta da un partito poco radicato sul territorio e sempre più personalizzato. Cioè, da Renzi. Con un rischio, ben segnalato da Stefano Folli. Che, il voto di Roma - e delle altre capitali dove si voterà il prossimo anno: Milano, Napoli, Torino, Bologna, Trieste, Cagliari - assuma non solo un significato nazionale. Ma
coinvolga - e investa - direttamente il Sindaco d'Italia e il suo partito. Matteo Renzi e il PdR. Si tradurrebbe, cioè, in un voto di "fiducia". Oppure - se il consenso del M5s si allargasse ancora, come ipotizzano i sondaggi - di "sfiducia".

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