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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
I RIFLETTORI SUI MAGISTRATI
[La Repubblica, 13 aprile 2015]

Il Presidente Mattarella dopo il massacro avvenuto al palazzo di Giustizia, a Milano, ha lanciato un messaggio esplicito. Contro la campagna di discredito che, da tempo, investe i magistrati. Come, d'altronde, Gherardo Colombo, in passato pm di "Mani pulite", e il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli. D'accordo nel denunciare il clima di rabbia e di veleni, non estraneo all'azione criminale dell'assassino. Il quale, non per caso, ha individuato il "luogo" responsabile del proprio fallimento (in senso letterale) proprio nel palazzo di Giustizia. Dove ha ucciso il giudice Ciampi e altre due persone (tra cui un avvocato). Naturalmente, non è possibile ricondurre a ragioni sociologiche comportamenti criminali, che hanno radici largamente patologiche. Tuttavia, l'idea che esista un clima d'opinione sempre meno favorevole ai magistrati e al sistema giudiziario è sicuramente fondata. E il ri-sentimento verso l'ambiente della giustizia è, anzi, cresciuto negli ultimi tempi.

È lontana l'epoca di Tangentopoli, quando, nei primi anni Novanta, gli italiani affidarono a pm e giudici il compito di decapitare (metaforicamente) la classe politica che aveva governato l'Italia repubblicana fino ad allora. Corrotta e delegittimata. Giudici e pm divennero, allora, gli esecutori della "volontà popolare". In quegli anni, la fiducia nei loro confronti si avvicinò al 70%. Senza grandi differenze di schieramento politico. Pochi anni dopo, però, questo atteggiamento divenne più tiepido e sicuramente meno trasversale. Soprattutto perché l'interprete principale della nuova stagione (anti) politica, Silvio Berlusconi, insieme a Forza Italia, venne coinvolto da indagini e inchieste "giudiziarie" compromettenti. E concatenate, come la trama fitta del conflitto di interessi del Cavaliere.

Così, la fiducia nei magistrati cominciò a declinare, in modo sensibile, soprattutto a centrodestra. Questa tendenza, in seguito, si è allargata. La fiducia nella magistratura, infatti, è scesa costantemente, fino a oscillare intorno al 35-40%, fra il 2005 e il 2010. In seguito è calata ancora. Fino al 30%, rilevato da Demos alcune settimane fa. Dunque, prima degli omicidi avvenuti al palazzo di Giustizia. Si tratta dell'indice di consenso più basso registrato dal 1994 ad oggi. Il clima di sfiducia denunciato dai magistrati, effettivamente, esiste. E ha diverse ragioni. Alcune delle quali, sicuramente, "politiche". Come dimostra la profonda, differenza di atteggiamenti, in base alla posizione politica e alle scelte di partito. Attualmente, infatti, la quota di elettori che esprime fiducia verso i magistrati è intorno al 41%, nella base del Pd, ma scende al 29% nella base del M5S, al 25%, fra gli elettori di Fi e, infine, al 18% fra quelli della Lega. C'è, dunque, un'evidente "frattura" politica, che marca l'atteggiamento verso i magistrati. Guardati con ostilità da destra, con diffidenza dal M5S. Visti, invece, con maggiore favore a sinistra. Tuttavia, il pregiudizio politico nei confronti dei magistrati è cresciuto in modo generalizzato e trasversale. Anche fra gli elettori di centrosinistra, infatti, il consenso nei loro riguardi è calato, di quasi20 punti negli ultimi 5 anni.

La causa di questo mutamento d'opinione è, dunque, in gran parte, "politica". E ha alcune spiegazioni precise. Anzitutto, i magistrati, dagli anni di Tangentopoli in poi, hanno assunto un ruolo "politico". Perché hanno contrastato l'illegalità cresciuta insieme all'intreccio fra partiti e interessi. Sono, dunque, divenuti i controllori di un sistema compromesso e poco credibile. Alessandro Pizzorno ha osservato che si sono trasformati nei "garanti della pubblica virtù". In grado di delegittimare, con un'inchiesta, un leader o un amministratore. In secondo luogo, i magistrati stessi, in alcuni casi, sono divenuti attori politici di rilievo. A partire da Antonio Di Pietro. Fino a Antonio Ingroia. Ma sono molti, oggi, i magistrati in Parlamento, alcuni eletti anche nelle liste di centrodestra. Altri, invece, impegnati come sindaci in città importanti. Emiliano a Bari. De Magistris a Napoli. Mentre Casson è candidato a Venezia. Difficile non venire coinvolti dai (ri) sentimenti politici quando si diviene canale di formazione della classe politica. Perché l'identità del magistrato persiste. E Di Pietro, De Magistris ed Emiliano restano "magistrati" anche se hanno cambiato ruolo e attività.

Così, presso l'opinione pubblica, si è diffusa la tendenza a "politicizzare" l'immagine dei magistrati. A percepirli come "attori", oltre che "controllori", della politica. In altri termini, oggi l'orientamento dei cittadini verso la politica, i politici e i partiti è sempre più disilluso. E, a differenza di vent'anni fa, non riconosce più i magistrati come moralizzatori. Nonostante che la "questione morale", sollevata da Enrico Berlinguer all'inizio degli anni Ottanta, sia sempre attuale. E colpisca settori politici e amministrazioni - regionali e comunali - di destra ma anche di sinistra. Non per caso il 48% dei cittadini (Demos, marzo 2015) ritiene che oggi la corruzione politica, in Italia, sia più diffusa che all'epoca di Tangentopoli. Mentre solo l'8% pensa il contrario. Per questo la preoccupazione espressa dal Presidente e dal Csm è fondata. Ma non facilmente risolvibile. Perché lo spazio della magistratura si è allargato nel vuoto della politica. Le sue funzioni di controllo e di intervento si sono moltiplicate parallelamente al riprodursi della corruzione e degli illeciti. Nella realtà politica ma anche nella vita pubblica. Al punto che oggi si assiste a una sorta di "giuridificazione della vita quotidiana". Che accompagna, a fini di controllo, le nostre attività - pubbliche, ma anche private. Praticamente ogni giorno. Per alleggerire le tensioni sulla magistratura, dunque, dovremmo "rassegnarci" al ritorno della politica. E dell'etica: nella vita pubblica e privata. Si tratta di un'impresa difficile, mi rendo conto. Ma, voglio credere, non impossibile.

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