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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI
La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica. |
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LA REPUBBLICA EXTRA-PARLAMENTARE [La Repubblica, 16 febbraio 2015]
I parlamentari del M5s hanno ingaggiato una lotta serrata, quasi un corpo a corpo, contro la riforma del Senato, progettata dal governo. Affiancati dai parlamentari di Sel e della Lega, insieme ad alcuni dissidenti del Pd. E alla stessa FI, che, in un'altra epoca politica, aveva contribuito a scrivere e a sostenere la riforma.
Un'opposizione tanto aspra appare dettata da ragioni di metodo, oltre che di merito. È, cioè, una reazione al rifiuto di discutere gli emendamenti. Dunque, di discutere. Votando a oltranza, giorno e notte. Questa vicenda sintetizza, plasticamente, questa difficile fase della nostra democrazia. Da un lato, Renzi e il "suo" Pd, decisi a tutto, pur di raggiungere gli obiettivi dichiarati, nei tempi più rapidi. Dall'altro, il M5s, specializzato nel fare controllo, resistenza. Intorno, gli altri partiti, di sinistra e, soprattutto, di destra. Poco influenti, se non in-influenti.
Da un lato, la "democrazia decisionale e personalizzata", di Renzi. Dall'altra, la "contro-democrazia" (come la chiama Rosanvallon), la democrazia della sorveglianza di Beppe Grillo. Un modello che spiega, in larga misura, il consenso di cui, oggi, sono accreditati i due principali soggetti politici, dai sondaggi. Non solo il Pd, stimato intorno al 36-37%. Ma anche il M5s. Nonostante che il suo gruppo parlamentare appaia diviso e sempre più ridotto. Nonostante svolga un'azione - prevalentemente - di controllo, difficile da spendere, sul piano del consenso. Eppure, resta il secondo partito in Italia. Stimato, dai principali istituti demoscopici, fra il 18 e il 20%. Lontano dal Pd. Circa la metà. Ma molto sopra gli altri partiti, che non superano il 14-15%. Lega e FI comprese.
La relativa ampiezza del bacino elettorale del M5s, in effetti, si spiega, anzitutto, con la base del dissenso verso le istituzioni e gli attori politici, molto estesa in Italia. Un disagio senza voce e senza bandiere. Senza storia e senza utopia.
La quota di elettori del M5s che esprime (molta o moltissima) fiducia nei confronti del Presidente della Repubblica appena eletto, per esempio, è circa il 30% (Demos, febbraio 2015). Metà, rispetto alla media della popolazione. Mentre la fiducia verso il Parlamento, fra gli elettori del M5s, scende al 5%. Circa un terzo rispetto alla media degli elettori. Si potrebbe, per questo, parlare di un'opposizione "antipolitica". Ma il discorso non è così semplice. La componente "esterna" allo spazio politico, coloro, cioè, che rifiutano di collocarsi lungo l'asse destra/sinistra, è, infatti, ampia, ma comunque, minoritaria (circa un terzo, Demos gennaio 2015). Mentre, in maggioranza, gli elettori del M5s appaiono distribuiti un po' in tutti i settori "politici". A destra (18%), sinistra (28%) e al centro (20%). Peraltro, il M5s è anche il partito meno "personalizzato". Nel senso che Beppe Grillo è il meno "stimato" fra i leader dei principali soggetti politici. Esprime, infatti, fiducia nei suoi riguardi quasi il 19% degli elettori. Circa 10 punti meno, rispetto allo scorso maggio. Certo, fra gli elettori del M5s la sua popolarità sale al 70%. Ma si tratta, comunque, del livello di fiducia più limitato ottenuto dai leader fra gli elettori del proprio partito. A conferma che il voto al M5s non è "personalizzato". E nemmeno "progettuale". Unito da un'identità comune. Ma, piuttosto, largamente e radicalmente "critico". Verso i principali partiti, verso le principali istituzioni. Insomma, verso la democrazia rappresentativa.
E ciò induce a riflettere, di nuovo, su questa particolare fase della nostra storia politica. Della nostra democrazia. Caratterizzata da una sorta di "tri-polarismo imperfetto". Dove agisce un solo soggetto politico di governo, il Pd, sfidato da alcuni soggetti che fanno opposizione, in Parlamento e nella società. Ma senza proporre alternative reali. Una situazione che potrebbe evocare la (cosiddetta) prima Repubblica, quando la Dc governava senza che il principale partito di opposizione, il Pci, potesse davvero subentrare al governo. A causa del vincolo internazionale, risolto solo dopo la caduta del muro - e dei regimi comunisti - nel 1989.
Oggi, però, la questione è diversa. In quanto il Pd di Renzi appare senza alternativa non per vincoli esterni, ma interni. Anzitutto: per il declino di Berlusconi, che, per vent'anni, ha occupato lo spazio di centrodestra. Personalizzandolo e rendendolo impraticabile per altri soggetti politici liberal-democratici. In secondo luogo, per l'emergere e l'affermarsi di un crescente malessere contro i soggetti e le istituzioni della nostra democrazia rappresentativa, intercettato e canalizzato dal M5s. Così, oggi le opposizioni, in Parlamento e all'esterno, appaiono deboli e im-proponibili. E ciò appare particolarmente critico, mentre si lavora per riformare le istituzioni democratiche - superando, anzitutto, il bicameralismo "paritario". E per ridefinire la legge elettorale. Perché è difficile, oltre che discutibile, riformare la Costituzione e le regole della democrazia senza dialogo e senza condivisione. Tanto più se il partito di maggioranza - l'unico soggetto politico effettivamente organizzato - è, comunque, "minoranza" (per quanto larga) fra gli elettori. E riesce a garantirsi la maggioranza, alle Camere, attraverso alleanze variabili e la transumanza di diversi parlamentari (come hanno segnalato, nei giorni scorsi, Stefano Folli e Roberto D'Alimonte).
Mentre le opposizioni sono, fra loro, eterogenee, in parte estranee. Lontane. Da ciò questo strano tri-polarismo imperfetto, che "oppone" il Pd di Renzi - personalizzato come il "suo" governo - a soggetti politici, che oggi non appaiono alternativi. Da un lato, a centrodestra, FI e la Lega sono concorrenti. E nessuna delle due pare in grado di affermare la propria leadership. FI continua a dipendere dal destino di Berlusconi. Mentre la Lega investe sul sentimento anti-europeo e anti-politico. Ma per questo le è difficile proporsi come attore di governo. Anche se si proietta a Sud. D'altra parte, il M5s propone un'alternativa alla democrazia rappresentativa, più che di governo. Per questo, appare in contrasto con il funzionamento stesso del Parlamento. Fino a minacciare le dimissioni dei propri parlamentari, per provocare lo scioglimento delle Camere. Dove, per motivi diversi, "non" siedono Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini, i leader dei principali partiti, di maggioranza e opposizione. È l'ennesima singolarità (per non dire anomalia) della nostra democrazia. Di questa Repubblica extra-parlamentare.
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