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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
IL NORD PADANO SI SCOPRE IL SUD DELLA GERMANIA
[La Repubblica, 2 luglio 2012]

Ieri la Lega ha celebrato la successione. Da Bossi a Maroni. Si è trattato di un congresso difficile, perché la Lega, in due anni, è passata dal successo alla crisi. Alle Regionali del 2010 aveva ottenuto circa il 12% ed eletto i presidenti di Veneto e Piemonte. Inoltre, aveva allargato il confine padano, penetrando nelle zone rosse. Emilia Romagna, Toscana e Marche, sopra tutte.

Due anni dopo, ha subito un pesante ridimensionamento. Alle elezioni amministrative di maggio, fra i 12 sindaci leghisti dei Comuni sopra i 15mila abitanti dove si votava, ne sono stati rieletti solo due. Uniche città dove la Lega abbia vinto, in questa occasione. A Verona e Cittadella. Inoltre, i sondaggi la stimano fra il 4 e il 5%. In pratica, meno della metà rispetto alle Regionali. Bisogna fare attenzione, comunque, prima di dare la Lega per finita. L'ho già scritto qualche tempo fa. Non ho cambiato idea.

La stima elettorale che le viene attribuita oggi, in fondo, non è diversa dal risultato ottenuto alle elezioni politiche del 2006. Superiore a quello conseguito alle elezioni fra il 1999 e il 2005. Peraltro, è possibile che il dato attuale sia sottostimato dai sondaggi, per il disagio di molti elettori nel dichiararsi a favore della Lega, dopo gli scandali dei mesi scorsi. In fondo, avveniva lo stesso negli anni Novanta, quando puntualmente la Lega, alle elezioni, otteneva risultati molto più elevati rispetto ai pronostici.

D'altronde, la Lega ha sempre seguito un andamento elettorale oscillante. In alcuni momenti e in alcune fasi, ha allargato la sua base "fedele", intorno al 4%, a settori di elettorato deluso degli altri partiti, soprattutto di centrodestra. Oppure intenzionato a far sentire la propria insoddisfazione, nei confronti dello Stato centrale. Oppure ancora, attratto dalle principali "politiche" annunciate dalla Lega. Il federalismo e il controllo (meglio: la chiusura, nei confronti) dell'immigrazione. La Lega ha, cioè, agito come un imprenditore politico flessibile, in grado di captare i principali motivi di malessere degli elettori del Nord e, sempre più, del Centro Italia. Ora, però, questa impresa le riesce difficile. Per motivi interni ed esterni, piuttosto evidenti.

Sul piano interno, è profondamente divisa. Il Congresso invece di sancire l'alleanza e il passaggio fra i due leader, Bossi e Maroni, ne ha evidenziato la distanza. Anzi, il distacco. Bossi, in particolare, non pare disposto a fare il "padre nobile" (dopo le vicende che hanno coinvolto i suoi familiari sarebbe difficile). Chiede poteri reali, posti sicuri per i "suoi" nelle liste, alle prossime elezioni.

Peraltro, i congressi territoriali non hanno determinato la vittoria schiacciante della corrente di Maroni. Hanno, al contrario, confermato come il partito sia spaccato in due. Maroni per primo, d'altronde, è consapevole come non sia possibile una Lega "senza" o peggio "contro" Bossi. Al quale egli stesso è legato, personalmente, per ragioni di biografia personale e politica. Tuttavia, al congresso, ieri, ha sentito il bisogno di sottolineare che governerà la Lega "senza tutele".

Né vi sono altri leader che possano subentrare, al posto loro. I Presidenti, Zaia e Cota, contano e pesano solo nelle loro Regioni. Tosi, il sindaco di Verona, è certamente visibile e riconosciuto, mediaticamente. Ma non riflette la tradizione leghista. Come la sua città, che ha, semmai, un retroterra di destra e si è avvicinata alla Lega solo negli ultimi anni. Dopo l'avvento di Tosi.

Ma i problemi maggiori, per la Lega, vengono dall'esterno. Dalla difficoltà di recitare il ruolo e il copione che le hanno garantito il successo.

Quanto alla protesta contro i partiti "nazionali", la Lega, in questa fase, deve fare i conti con un concorrente temibile. Il M5S ispirato da Beppe Grillo. Tra il 20% e il 30% degli elettori leghisti, alle regionali del 2010, alle elezioni amministrative di maggio, nelle principali città del Nord dove si è votato, ha scelto il candidato del M5S (come mostrano i flussi dell'Istituto Cattaneo). Mentre, nel Nordest, patria storica del leghismo, il 25% di coloro che oggi voterebbero per il M5S nel 2008 aveva votato per la Lega (stime dell'Osservatorio Elettorale del LaPolis su dati Demos, giugno 2012).

Il M5S, d'altronde, può gestire in modo flessibile le sue strategie. Non è vincolato ad alleanze. Non deve vincere le elezioni e neppure governare. (Se gli capitasse sarebbe un problema...). Mentre la Lega ha il problema contrario. Oggi è "sola contro tutti". Lega di opposizione. Ma non può permettersi di restare troppo a lungo in questa posizione. Rischierebbe, altrimenti, di risultare "inutile" agli occhi degli elettori "tattici", che la votano per ottenere risultati concreti. Per "premere su Roma". Non solo per protestare.

Ma la Lega, oggi, incontra grandi difficoltà nel perseguire, in modo convincente, i progetti che ne hanno caratterizzato l'azione e l'identità nel passato (non solo) prossimo.

Gli scandali recenti ne hanno eroso l'immagine della "diversità". Il partito puro e duro, senza compromessi. Oggi appare assai meno puro e più compromesso di ieri. Così resta sospesa, come in Lombardia. Dove continua a sostenere la giunta Formigoni. E minacciare di uscire. Una Lega di governo e di opposizione. A disagio in entrambi i ruoli.

La "paura dell'altro", la protesta contro l'immigrazione e l'integrazione (un tema, peraltro, accarezzato anche da Grillo), in questa fase, appare oscurata da altre paure. Dettate dalla crisi economica, dalla disoccupazione, dalla condizione di vita delle persone. Oggi incombono anche nelle aree dove la Lega è più forte.

Il federalismo: dieci anni al governo, insieme al centrodestra, non sono serviti ad affermarlo. Ne hanno, semmai, mostrato la faccia meno attraente. Costringendo gli amministratori locali a chiedere ai cittadini più tributi senza produrre più servizi. Semmai, il contrario.

Ma, soprattutto, si sta assistendo all'eclissi, se non al declino, della "questione territoriale". Per prima: la "questione settentrionale", a cui la Lega ha dato visibilità e voce, fino ad oggi. Perché, forse, è vero che "Non c'è Nord senza Sud", come titola un bel saggio di Carlo Trigilia (appena pubblicato dal Mulino). Ma oggi entrambi, il Nord e il Sud, sembrano svanire, risucchiati nella crisi europea. Insieme all'Italia, tutta insieme, senza distinzioni. In tempi nei quali la politica è affidata ai tecnici. Per tutti: Mario Monti. Unico garante di fronte ai mercati e ai grandi del mondo.

Così diventa difficile fare la Lega padana, il sindacato del Nord. Quando il Nord non è solo a Nord del Sud. Ma (come ha suggerito Lucio Caracciolo) è, a sua volta, a Sud dell'euro - una moneta senza Stato. Il Nord padano: a Sud della Germania. Una periferia americana. All'estremo occidente della Cina e dell'India.

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