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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
MAPPE - PIUTTOSTO DELLA CRISI è MEGLIO INVOCARE LA SECESSIONE
[La Repubblica, 19 settembre 2011]

Umberto Bossi, ieri, a Venezia ha concluso la manifestazione che, da 15 anni, celebra la secessione padana. Il mito che mobilita e fornisce identità alla Lega e ai suoi militanti. L'ha fatto invocandola, puntualmente. La secessione. Unica via di uscita per una democrazia in pericolo. Dove, anzi, "il fascismo è tornato con altri nomi e altre facce". Parole sorprendenti, in bocca al ministro delle Riforme istituzionali per il Federalismo. Al leader di un partito che governa da 10 anni, salvo una breve pausa - meno di due anni. La "Lega di governo", ben insediata a Roma. Soggetto forte della maggioranza e alleato affidabile di Berlusconi, anche in tempi cupi come questi. Bossi torna ad agitare lo spettro della secessione, per via democratica. Attraverso un referendum. Ma abbiamo motivo di dubitare che alle parole seguiranno fatti concreti. Che davvero la Lega possa e voglia perseguire la secessione - seppure per via democratica.

In primo luogo, perché rischierebbe di trovarsi da sola, con poche persone al seguito. Come avvenne nel settembre del 1996, quando la marcia per l'indipendenza padana, promossa dalla Lega, andò largamente deserta. Poche decine di migliaia di militanti. Un po' pochi per marcare il "confine naturale" del Nord padano. D'altronde, basta ragionare sui dati elettorali (come ha fatto ieri Francesco Jori su Il Piccolo e su altri quotidiani del Nord). Nel 1996, quando la Lega raggiunse il risultato più ampio fino ad oggi, nelle regioni del Nord padano si fermò, comunque, al 23%. Nel 2008 al 19%. Alle Regionali del 2010 nel Lombardo-Veneto, dove è più forte e radicata, si è attestata al 30% (dei voti validi. Cioè, molto meno se si considera la popolazione intera). In ogni caso: una "larga minoranza" dei cittadini del Nord - e pure del Lombardo-Veneto. Tuttavia, ricondurre "tutti" gli elettori leghisti al verbo secessionista è improprio e, anzi, largamente sbagliato. Basti pensare a quel che avvenne dopo il 1996, quando la Lega, da sola, proseguì nel progetto indipendentista. Riducendosi a poco più del 3% alle Europee del 1999. Ciò che la indusse a rientrare a casa. Meglio: nella Casa delle Libertà. Accanto a Berlusconi. D'altronde, ancora nel 2006, la Lega raggiungeva appena il 4% in Italia, ma restava di poco sotto al 10% nel Nord. Il fatto è che il successo della Lega dipende da ragioni che poco hanno a che fare con la secessione.

Come dimostrano numerosi sondaggi condotti sull'argomento. In un'indagine recente 3 (Atlante Politico di Demos, giugno 2011), la quota di elettori che si dice d'accordo con l'affermazione: "Il Nord e il Sud dovrebbero dividersi e andare ciascuno per conto suo" è del 12% in Italia, sale al 14% nel Nord Ovest e al 26% nelle regioni del Nord Est (esclusa l'Emilia Romagna, altrimenti il dato medio si abbasserebbe). Fra gli elettori leghisti risulta elevata: intorno al 40%. Cioè, di nuovo, una "larga minoranza". Che resta, però, minoranza. Per contro, l'85% degli elettori del Nord padano e oltre il 70% di quelli leghisti considerano l'Unità d'Italia una conquista "molto o abbastanza positiva" (Demos per Limes, marzo 2011). Mentre oltre l'80% degli elettori del Nord (padano) e della Lega si sentono "orgogliosi di essere italiani". Infine, più di otto persone su dieci, tra gli italiani ma anche fra gli elettori del Nord, ritengono che fra 10 anni l'Italia sarà ancora unita. E fra i leghisti questa convinzione appare solo un po' meno diffusa: 77%.

Insomma, la "via democratica alla secessione" non porterebbe lontano la Lega. Perché non piace al Nord ma neppure alla maggioranza degli elettori leghisti, che si sentono molto più italiani che padani. Allora perché Bossi continua a richiamarla, come un mantra? Anzitutto, per contrastare il malessere dei suoi elettori. I più fedeli e, a maggior ragione, quelli "tattici", molto numerosi nelle aree economicamente più dinamiche. I quali la votano per manifestare contro Roma e il Sud. Contro l'inefficienza dello Stato e la pressione fiscale, troppo alta. Contro i privilegi della casta e del sistema politico. "Romano". La usano, cioè, come una sorta di sindacalista del Nord. Che oggi, però, rischia di risultare inefficace. Altri dati di sondaggi recenti (Demos, settembre 2011 4) dicono, esplicitamente, che la manovra finanziaria del governo non piace né al Nord (circa 70% di giudizi negativi e 23% positivi) né ai leghisti (49% di giudizi negativi e 42% positivi). Agli elettori leghisti, in particolare, non piace Berlusconi, grande alleato della Lega e di Bossi. Solo un terzo di essi ne valuta l'operato con un voto "sufficiente".

Insomma, la "Lega di governo" è in difficoltà di fronte al suo elettorato, fedele e "tattico". Cerca, per questo, di riproporre le parole d'ordine della "Lega di protesta". E secessionista. Anche se fa specie che sia il Ministro delle Riforme istituzionali a presentarsi come portabandiera dell'opposizione. Ma il leader della Lega agita la minaccia secessionista anche per sopire le divisioni che attraversano i dirigenti del suo partito. Coinvolti, com'è stato osservato, assai più che dalla "secessione", dal tema della "successione". Che vede in Roberto Maroni il candidato più accreditato. Ma anche il più osteggiato. Esempio più evidente e recente di queste tensioni: il servizio appena pubblicato da Panorama, dove si accusa la moglie di Bossi di "guidare" il partito insieme a un "cerchio" ristretto di uomini fedeli al Senatur. Raccoglie voci note da tempo. Con la differenza - e la novità - che a rilanciarle è un periodico della galassia editoriale di Berlusconi. Il che suggerisce quanto le tensioni siano, ormai, ineludibili. Indifferibili. Nella Lega e nel Centrodestra.

Da ciò, l'ultima spiegazione. La Secessione, come la Padania, è un mito fondativo, una sorta di orizzonte proiettato lontano nel tempo. Mentre la manovra finanziaria, che appare a 8 italiani su 10 inaccettabile, è reale. Attuale. Come il crollo di consensi che ha travolto il governo e, anzitutto, il Presidente del Consiglio. La Lega e Bossi, in primo luogo, potrebbero staccare la spina. Se volessero fare Lega d'opposizione. Proporre altri candidati premier. Oppure nuove elezioni (com'è avvenuto in Spagna). In questo caso, però, dovrebbero rinunciare alla posizione dominante che il Carroccio occupa nel governo e in molte amministrazioni. Rischiare l'emarginazione, come dopo il 1996. Ma, soprattutto, se Berlusconi uscisse di scena, Bossi potrebbe seguirne la sorte. E senza Bossi nella Lega si aprirebbe una guerra di successione. Dall'esito incerto. Anche per la Lega, di cui Bossi costituisce tuttora l'Icona Unificante. Per cui sempre meglio minacciare e poi rinviare. La crisi di governo, le elezioni. Meglio, tanto meglio, invocare la Secessione. La Padania. Ma più in là. Domani è un altro giorno. Si vedrà.

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