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Le mappe di Ilvo Diamanti
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
PIÙ PRESIDENTI CHE SINDACI
[La Repubblica, 11 ottobre 2021]

Mentre ci troviamo - letteralmente - in mezzo alle elezioni amministrative di questo ottobre 2021, appare chiaro, anzitutto, che non è chiaro che significato abbiano. E quale effetto avranno, oltre i confini dei Comuni interessati. Infatti, come abbiamo già osservato, è difficile trovare una chiave di lettura per interpretarne le ragioni. E le conseguenze. Locali e nazionali. Per quanto si tratti di elezioni amministrative, è indubbio che avranno implicazioni politiche "nazionali". Com'è avvenuto, negli stessi comuni, alle consultazioni precedenti. Segnate dal successo del M5S a Roma e Torino. Una svolta, nella biografia del M5S. Che non si è ripetuta.

Il successo alle elezioni politiche del 2018 ha, infatti, sottolineato il carattere "nazionale" del voto al M5S. Un "non-voto" attribuito a un "non-partito", in due metropoli ad alta capacità simbolica. Segni di un cambiamento in atto. Non è un caso che, in quell'occasione, siano state elette due donne, in un Paese nel quale i sindaci hanno assunto un ruolo importante, da oltre vent'anni. Perché interpretano una domanda di cambiamento e di governo che parte dal territorio. Dai cittadini. Attraverso i luoghi e le autorità più vicini a loro. Ma oggi questa tendenza appare in declino. A Roma, la sindaca uscente, Virginia Raggi, è stata esclusa dal ballottaggio. Mentre a Torino, Chiara Appendino non si è ricandidata, per problemi emersi durante la sua esperienza amministrativa. Peraltro, se si considerano i capoluoghi di provincia delle Regioni a statuto ordinario dove si è votato, nessuna donna è stata eletta. Non c'è da sorprendersi, visto che le candidate erano solo 25, cioè: il 17%. Tuttavia, i problemi delle città, nell'ambito del sistema di governo nazionale, vanno oltre le ragioni di "genere". Riflettono, invece, cambiamenti profondi, che, da tempo, hanno ri-disegnato la mappa politica del Paese. Ne hanno cambiato profondamente i "colori", che sottolineano l'ampiezza e la persistenza degli orientamenti di voto. Nel corso del dopoguerra, nella storia repubblicana, fino al primo decennio degli anni 2000 - per la precisione: fino alle elezioni del 2008 - in oltre il 70% delle province si è votato in modo pressoché analogo. Si osserva, cioè, una sostanziale continuità. Dettata, fino agli anni '90, dalla "frattura" anticomunista e, in generale, anti-sinistra. Una distinzione interpretata, in seguito, da Berlusconi. A sua volta simbolo - e artefice - della linea di divisione e continuità politico-elettorale del Paese. Non per caso, lo "scongelamento" del voto coincide con la caduta del muro di Arcore. Cioè, con il progressivo declino di Berlusconi, nell'ultimo decennio. Tuttavia, da allora abbiamo assistito alla rapida erosione del voto fedele. Rimpiazzato dal voto liquido. Ispirato dal ri-sentimento, piuttosto che dal sentimento politico. Dal distacco piuttosto che dall'appartenenza. Dalla sfiducia più che dalla fiducia. Così l'Italia elettorale ha perso i suoi colori. Nelle Regioni, "rosse" del Centro Italia, storicamente di sinistra. Prima ancora, nelle province del Lombardo-Veneto, definite "bianche", per la tradizione democristiana. Divenute "verdi" e "azzurre" in seguito al crescente peso del voto "forza-leghista". Insomma, il territorio ha perduto le sue radici e le sue ragioni. E non ha più garantito la continuità di orientamento politico del passato. Inoltre, si sono indeboliti i "corpi intermedi", fra la società e lo Stato. Bersaglio, peraltro, di attacchi estremisti e squadristi, come quello contro il sindacato e, in particolare, la Cgil a Roma.

Per questo i sindaci hanno "perso terreno". Letteralmente.

È, infatti, divenuto loro sempre più difficile rivolgersi ai cittadini. Anche perché i loro poteri, rispetto ai problemi incombenti, si sono rivelati sempre più in-adeguati. Tanto più negli ultimi anni. Dopo l'irruzione del virus. Che ha scavalcato ogni muro, ogni barriera. Tanto da aver cambiato il significato stesso dei colori che de-finivano il territorio. Le regioni bianche e rosse, ad esempio, oggi non indicano più l'orientamento politico di un'area. Ma il loro grado di pericolosità "virale". Al tempo stesso, la preoccupazione e il sentimento di paura hanno accentuato la domanda di riferimenti nazionali "comuni". Oggi le figure più ri-conosciute, "i punti di equilibrio" (come li ha definiti Mauro Calise), sono i Presidenti. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che, nei sondaggi più recenti condotti da Demos, ha raggiunto un grado di fiducia fra i più elevati dai tempi dell'elezione (fra il 64 e il 68%). Il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Chiamato dal presidente della Repubblica. E sostenuto da un consenso elevatissimo. Come il predecessore, Giuseppe Conte. Ma anche i presidenti di Regione, investiti di competenze molto superiori, rispetto al passato. Il "tempo dei sindaci", dunque, sembra "passato". Almeno, "a rischio". Come di-mostra l'ampiezza raggiunta dall'astensione. Per queste ragioni, i sindaci debbono restituire senso e visibilità al loro ruolo. A partire da questo voto. Per impedire che il "presidenzialismo preterintenzionale" oscuri il territorio, le sue ragioni, i suoi interpreti.


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