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La sordina sui migranti mai così invisibili la politica ne parla per soffiare sulle paure (6 gennaio 2025)
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La Tangentopoli infinita per un italiano su due restiamo il Paese dei corrotti (9 dicembre 2024)
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Contro l’autonomia sei italiani su dieci e anche al Nord adesso dicono no (25 novembre 2024)
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI
La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica. |
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SCISSIONE PD, CONTRO IL PDR STA NASCENDO IL PD'A [La Repubblica, 20 febbraio 2017]
È difficile definire - e prima ancora: comprendere - cosa sia avvenuto e stia avvenendo nel Partito democratico in questi giorni. Dopo l'assemblea del Pd che si è svolta ieri. Ma è ancora più difficile immaginare il futuro. Del Pd. Dopo la scissione che si è consumata ad opera di alcuni esponenti.
D'altronde, parafrasando Walter Veltroni, "il passato non è il futuro". Anche se, nel nostro tempo, il futuro è sempre più corto. Il futuro: è già passato. Tuttavia, Walter Veltroni conosce bene il Pd. Visto che ha contribuito a "fondarlo". Giusto dieci anni fa, nel 2007. Quando ne divenne il primo segretario. Il Pd costituì l'approdo di un percorso durato oltre un decennio. Durante il quale - per citare Arturo Parisi che ne fu un ispiratore influente - l'Ulivo dei Partiti si tradusse, progressivamente, nel Partito dell'Ulivo. L'Ulivo, com'è noto, è sorto, a metà degli anni Novanta, dall'incontro delle forze politiche di tradizione cattolica democratica con quelle laiche e di sinistra. Di tradizione, prevalentemente, socialista e (post)comunista. L'Ulivo dei partiti: si costruì intorno a Romano Prodi, nel 1996. Che governò per due anni e mezzo. Fino all'ottobre del 1998. Quando venne messo in minoranza, alla Camera, da Rifondazione comunista.
A Prodi successe Massimo D'Alema, primo presidente del Consiglio, in Italia, di "esperienza" comunista. Un passaggio importante per la nostra democrazia. Il Pci, d'altronde, aveva già cambiato nome. Da tempo. Si chiamava, infatti, Pds. Partito democratico di sinistra. E divenne, quindi, Ds. Democratici di sinistra. In seguito alla fusione con altre componenti della sinistra moderata e riformista. Il Pd riassume, dunque, tradizioni e identità diverse. Di certo, sancisce il superamento della frattura storica che aveva accompagnato la Prima Repubblica. La frattura anti-comunista. Ciò avviene, fra le altre ragioni, per l'irruzione di un nuovo attore politico. Silvio Berlusconi. Il quale erige un nuovo muro. Impiantato e fondato su se stesso. Sulla propria figura, sulla propria proposta politica. L'antiberlusconismo, così, si affianca all'anticomunismo. Lo sfida. Lo utilizza come argomento. Come fattore di consenso. E rende difficile, sempre e comunque, la legittimazione dei Ds. Che continuano ad apparire, per molti elettori ex-post-democristiani, gli eredi del Pci. E dunque: comunisti. Basta osservare le difficoltà che hanno incontrato i Ds ad affermarsi in zone e in aree tradizionalmente "bianche". Cioè: democristiane e post-dc. Come nelle province venete e pedemontane del Nord. Il Partito dell'Ulivo e, soprattutto, il Pd permettono di superare, almeno in parte, questo "vizio" originario del sistema politico italiano nella Prima Repubblica. Quando si affrontavano soggetti politici alternativi, ma senza possibilità di alternanza. Così il Pd diventa e si impone come forza di governo. La più forte, sul piano elettorale, dopo la crisi di Silvio Berlusconi. Tanto più oggi, visto che il (non)partito maggiormente in grado di "sfidarlo", in termini di consensi, è il M5S. La cui legittimazione a governare è messa in discussione. A maggior ragione oggi, dopo i primi mesi alla guida di Roma.
Tuttavia, le divisioni emerse nel Pd, nell'ultima fase, hanno riaperto la questione. Anzitutto per il cambiamento avvenuto nella natura e nell'identità del partito. Il Partito dell'Ulivo, il Pd, riassume, infatti, l'esperienza dei principali partiti di massa. Delle principali culture e tradizioni politiche. In Italia. Ma, non solo da oggi, il partito si è personalizzato. Io stesso, da un paio d'anni, l'ho (ri)definito il PdR. Partito di Renzi.
È il marchio con cui l'ha etichettato Pier Luigi Bersani nell'Assemblea nazionale. Polemicamente. Mentre nel mio linguaggio il PdR ha un significato descrittivo, non prescrittivo. Sottolinea come, in una certa misura, sia divenuto un Partito Personale (per usare la definizione di Mauro Calise). Centrato sulla persona del leader. Che gli offre immagine, riconoscimento, identità. Mentre, parallelamente, stanno sfumando le basi sociali, organizzative. I valori e le tradizioni che ne fondavano l'appartenenza.
È con questi argomenti che si sono accentuate le divisioni interne al Pd(R). Che riflettono il disagio di alcuni esponenti, che minacciano di uscire. Oppure lo stanno facendo. Soprattutto, ma non solo, di sinistra. Bersani, come si è detto, ma anche i governatori Enrico Rossi e Michele Emiliano. Oltre ai leader della "sinistra" interna. Per primo, Roberto Speranza. Inoltre, Guglielmo Epifani e Gianni Cuperlo. Mentre altri - Pippo Civati e Stefano Fassina - se ne sono già usciti. Intanto, a sinistra del Pd stanno sorgendo laboratori politici, come il "Campo Progressista" promosso da Giuliano Pisapia. Si tratta di figure ed esperienze non sempre riconducibili alla tradizione del Pci. Tuttavia, è difficile non cogliere in queste tensioni il rischio della divisione (e del "peccato") originale. D'altronde, alla presentazione romana del libro-intervista firmato da Enrico Rossi, sulla "Rinascita Socialista", c'erano molti leader dissidenti e scissionisti. Accompagnati da una coreografia eloquente. Costellata di bandiere rosse. Introdotta da Bandiera Rossa. Cantata in coro da presenti e protagonisti.
Ma la figura più significativa di questo passaggio è Massimo D'Alema. Leader Ds e Pds. Stratega accorto. Riferimento possibile anche di questa nuova stagione politica. Che al PdR potrebbe opporre il PD'A.
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