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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
M5S PAGA IL "CASO ROMA": PD TORNA AVANTI IN CALO LEGA E FORZA ITALIA
[La Repubblica, 10 settembre 2016]

La vicenda di Roma non accenna a risolversi. Tanto più (o meno) a normalizzarsi. Un anno dopo le dimissioni - forzate - di Ignazio Marino le tensioni politiche restano alte, ma ora coinvolgono la nuova sindaca, Virginia Raggi, e il suo partito. Il M5S. Alla faticosa ricerca, non ancora conclusa, di costruire una Giunta, affidabile e "specchiata". Il sondaggio dell'Atlante Politico di Demos di oggi su Repubblica mostra come le polemiche "romane" abbiano indebolito il consenso verso il M5S e rafforzato il Pd di Renzi. Ma non in modo eccessivo. Anche perché, nel frattempo, cresce l'attenzione - e l'incertezza - intorno al referendum del prossimo autunno.

Vediamo queste tendenze in modo più analitico. Partendo dagli orientamenti politici. Che, rispetto a giugno, mostrano un calo di alcuni punti del M5S. Nel voto proporzionale, infatti, il M5S scenderebbe di 3-4 punti, fermandosi intorno al 29%. Superato dal Pd, che risalirebbe al 32%.

Così le posizioni, dopo la pausa estiva, appaiono rovesciate e simmetriche. Lo stesso avverrebbe nell'ipotesi di ballottaggio. Dove, però, il confronto risulta apertissimo. Vista la distanza davvero limitata fra i due partiti. 52 a 48 (circa).

La crisi romana del M5S, peraltro, favorisce una ripresa, per quanto limitata, dei consensi al governo, al PDR (Partito di Renzi) e al premier. Il sostegno per l'azione del governo, infatti, resta elevato e, comunque, stabile. Il 43%: praticamente inalterato rispetto a un anno fa. Mentre, in base alla fiducia personale nei leader, Renzi si colloca in testa alla graduatoria, con il 44%.

Queste tendenze, comunque, non segnano una svolta netta. Un cambiamento del clima d'opinione. Soprattutto, non sembrano annunciare una crisi del M5S.

Anche se, fra gli elettori, crescono i dubbi sulla capacità di governare. Non solo il Paese ma anche le città. Una quota ampia delle persone intervistate, oltre 4 su 10, si dimostra, però, indulgente. Gli riconosce, dunque, la volontà di cambiare, E, quindi, implicitamente, la possibilità di sbagliare. Per migliorare la politica. D'altra parte, il M5S si presenta, ancora, come l'unica alternativa al Pd. Secondo partito, nel voto proporzionale. Tutti gli altri lontanissimi. Fuori gioco. Forza Italia e la Lega di Salvini: affiancati, intorno al 10-11%. La Sinistra: poco meno del 6%. I FdI e gli altri soggetti di Destra al 4,5%. I "centristi": più sotto.

In caso di ballottaggio con il Centrodestra, il M5S non avrebbe problemi. Così restano in due, PDR e M5S, a contendersi il primato. Governo e contro-governo. Leader e anti-leader. Politica e anti-politica. Che, tuttavia, in questa fase appare una "retorica" politica - di successo.

Se valutiamo la graduatoria della fiducia verso i leader, questa situazione si precisa, in modo evidente. Dietro al premier, unico a superare il 40%, sono in molti a collocarsi oltre la soglia del 30%. Dentro e fuori il Pd. Fra i leader del M5S, Di Maio è preferito a Di Battista. Ma di poco: 38% a 35%. Entrambi, però, sono superati da Virginia Raggi. La sindaca di Roma. Il rumore mediatico e le polemiche intorno a lei, dunque, sembrano favorirla. Le offrono visibilità e, paradossalmente, legittimazione. Presso l'opinione pubblica, infatti, più che un amministratore inadeguato, la Raggi appare il bersaglio di guerre politiche interne ed esterne al M5S. Pardon: al partito. P5S.

Fra i leader degli altri partiti, Giorgia Meloni e Matteo Salvini procedono affiancati, intorno al 36%. Superati da Pierluigi Bersani. Riferimento dell'opposizione interna. Dunque, "dentro" al Pd. Perché l'ipotesi di una lista a sinistra del Pd raccoglie consensi molto limitati. E non piace neppure ai simpatizzanti di Bersani.

I problemi, per il premier, provengono, semmai, dal referendum sulla riforma costituzionale. Collocato tra fine novembre e inizio dicembre. L'esito di questa scadenza, infatti, appare incerto. Il Sì, oggi, prevarrebbe di pochi punti. E anche se Renzi sta cercando di ridimensionarne la connotazione "personale", la maggioranza degli elettori continua a percepirlo come una verifica politica diretta. Su di lui e il suo governo. Peraltro, e per contro, il fronte del No non dispone di figure in grado di imprimere una spinta propulsiva determinante. Semmai, è vero il contrario. Massimo D'Alema, in particolare, che ha formato un "Comitato Nazionale per il No", ottiene un livello di consensi molto limitato: 24%. (Non solo a causa del referendum probabilmente.) Meno di Silvio Berlusconi e Stefano Parisi. Il fondatore di Forza Italia e il suo erede. In fondo alla graduatoria dei leader. A conferma del declino forzista. Visto che i suoi attori risultano, ormai, periferici nel sistema politico e nelle preferenze elettorali.

Così, per ora, non si vede un'alternativa all'alternativa del M5S. Nonostante i conflitti romani. Che lo hanno posto al centro dell'attenzione mediatica e politica. Hanno sollevato e stanno sollevando tante polemiche. All'interno e all'esterno.

Al contrario: tanto rumore rischia di produrre l'effetto contrario. Legittimare Virginia Raggi, come protagonista interna al partito. E, a maggior ragione, all'esterno. Tra i suoi avversari. Perché quando Matteo Renzi attacca il M5S romano per la

decisione di rinunciare alle Olimpiadi o per il caos che lo scuote, in questa fase, in effetti, lo legittima. Rafforza la sua immagine di unica vera opposizione. E riassume la politica italiana nel contrasto e nell'alternativa fra PDR e P5S. Per citare un noto autore romano: "Tutto il resto è noia".

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