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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
IL PIGLIO DEL PREMIER E IL VALORE DEL PD
[La Repubblica, 11 agosto 2014]

Viviamo tempi di democrazia "immediata". Dove le "mediazioni" e i "mediatori" sono più deboli. I partiti, le istituzioni rappresentative, le organizzazioni di interesse, ma anche i giornali e i giornalisti. Sono messi in discussione.

Mentre hanno conquistato rilievo la rete, i blog e i blogger. Così si è allargato lo spazio della relazione diretta fra leader e cittadini, fra cittadini e leader. Attraverso la rete. Ma anche la TV. Il dualismo fra Renzi e Grillo, alle ultime elezioni europee, ne fornisce un riassunto fedele. E conferma i limiti della rete, quando è il principale, se non unico, canale di comunicazione politica. Mentre Renzi interpreta, meglio degli altri, quel modello di "democrazia personale", ancor più che "personalizzata", che si è affermata in Italia. Ma anche altrove, in Europa.

Lo ha osservato, nel suo editoriale di ieri, Eugenio Scalfari. Il quale, una settimana fa, aveva già parlato di "egemonia individuale". Una tendenza che, a mio avviso, non va confusa con l'autoritarismo. Sul piano della "personalità" (per echeggiare Adorno), il tipo "autoritario" delinea, infatti, una sorta di "fascismo potenziale". Ebbene, io fatico a cogliere, in questi tempi e nel leader che li orienta, il marchio del fascismo potenziale. Anche se, come ho scritto, avrei affidato la riforma del Senato e, dunque, la modifica della Costituzione, a un'Assemblea Costituente eletta dai cittadini. Tuttavia, questa semplificazione istituzionale non mi sembra annunci una svolta "autoritaria". Ma conferma, semmai, la tensione fra diversi tipi di "democrazia".

Tuttavia, questa semplificazione istituzionale non mi sembra annunci una svolta "autoritaria". Nonostante che lo stesso Renzi, intervistato dal Financial Times, si spinga ad affermare che "nemmeno i dittatori riescono a fare le cose così in fretta...". Questa stessa affermazione conferma, piuttosto, la necessità del premier di marcare la sua diversità, rispetto agli altri. Il suo piglio "decisionista" insieme alla sua ricerca di consenso sociale. Il che conferma la tensione fra diversi tipi di "democrazia", che agita questa fase di cambiamento.

D'altronde, la democrazia rappresentativa riflette l'equilibrio instabile fra istanze di governo - legittimo - e partecipazione - diretta - dei cittadini. Ciò che, in fondo, Scalfari definisce "oligarchia democraticamente eletta". E che Bernard Manin chiama "aristocrazia democratica", perché l'elezione esprime, necessariamente, un'èlite. Non è, quindi, fonte di "democrazia in diretta" (per citare un recente saggio di Nadia Urbinati). Ma, semmai, "indiretta". Per tornare al presente, noi viviamo in tempi di "democrazia ibrida", "mediata" da diversi "media", che spingono in direzioni contrastanti. La tv e la rete, in particolare. Alimentano, da un lato, la "democrazia del pubblico" (come la chiama Manin), dove i cittadini sono spettatori. Dall'altro, la "contro-democrazia" (come la chiama Rosanvallon). La democrazia (diretta) del controllo e della sorveglianza.

Al tempo della democrazia ibrida, per governare, occorre, dunque, controllare diversi modelli e luoghi di consenso e partecipazione. Non solo la televisione e la rete, ma anche la piazza. Per questo Grillo, nella recente campagna elettorale, oltre a presidiare la rete, è andato da Bruno Vespa, ma anche, di nuovo, a Piazza San Giovanni. Per questo Berlusconi oggi è "periferico". Rinchiuso nella tivù, oltre che, per alcuni mesi, in casa. In-credibile sui nuovi media. E, inoltre, inefficace nella mobilitazione sociale, perché il suo partito non c'è praticamente più. Per questo, infine, oggi Renzi si propone come leader di successo. Perché è in grado di dialogare con i diversi media e i diversi modelli di democrazia. Abile a comunicare in televisione, ma anche sui social media. Consigliato da esperti di marketing politico e da blogger di grande competenza. Infine, o meglio: anzitutto, Renzi dispone della principale "struttura" della democrazia rappresentativa. Il Partito. Anzi: il Partito democratico.

Io, da tempo, lo definisco PdR. Partito democratico di Renzi. O Partito di Renzi. Per marcare la connotazione "personale" che ha assunto. Tuttavia, occorre chiarirlo con forza, oltre alla R c'è il Pd. Perché se Renzi ha allargato la platea del Pd, è anche vero l'inverso. Il Pd ha offerto a Renzi una base elettorale ampia, fedele e radicata. Che lo ha votato e lo voterebbe anche se non gli piace. Per "fedeltà". Così è avvenuto, in fondo, anche al Senato, negli ultimi giorni. Quando la riforma è stata approvata con il voto di gran parte dei senatori del Pd. Nonostante il dissenso interno.

Possiamo, comunque, fornire qualche indice più preciso di queste componenti. Anzitutto, possiamo ragionare sulla differenza tra il risultato alle politiche del 2013 e alle europee del 2014. (Per quanto si tratti di un indizio molto approssimativo e precario). La progressione del Pd, nelle due occasioni, è di circa 15 punti percentuali. Anche se isoliamo i comuni maggiori dove si è votato lo scorso 25 maggio, però, si osserva una tendenza simile. Alle Europee, infatti, il Pd ha ottenuto circa il 44%, alle comunali il 29%. Di nuovo: 15 punti di differenza.

Sul piano demoscopico, possiamo utilizzare un sondaggio condotto da Demos la settimana dopo le recenti elezioni su un campione nazionale. Messi di fronte all'alternativa tra leader e partito, gli elettori del Pd che si definiscono anzitutto "renziani" sono circa il 41%. Quelli che, pur indicando un leader preferito, si dicono anzitutto "elettori del Pd" sono il 34%. Ma il 19% non indica un leader preferito e può, quindi, essere considerato un leader orientato al partito.

Renzi, dunque, ha allargato il "pubblico" del Pd di oltre un terzo. Ha svuotato Scelta Civica e l'UdC, ha intercettato una quota significativa della base di FI e alcune componenti del M5s. Parallelamente, il Pd ha perduto una parte consistente del suo elettorato "ideologico", a favore di quello "personale". Che oggi pesa, mediamente, più che negli altri partiti. Tuttavia, si tratta di un valore aggiunto, che si somma a una base "fedele" molto più ampia rispetto agli altri partiti. Per questo oggi la leadership di Renzi prevale in modo tanto evidente. Perché nel PdR coabita oltre un terzo di elettori che vota per Renzi, anche se non ama il Pd. Mentre circa il 60% voterebbe per il Pd comunque. Anche "nonostante" Renzi.

Nessun altro partito, in questa democrazia personale, dispone di un leader tanto attraente come Renzi. Ma nessun altro leader dispone di un partito vero - l'unico sulla piazza - come il Pd. È questo il plusvalore del PdR. Oltre alla R, anzi: prima, c'è il Pd. E questo costituisce un grande vantaggio competitivo. Ma, per Renzi, anche un grande rischio: fino a quando sarà in grado di tenere insieme, uniti e coerenti, questi due "partiti"?

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