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La generazione globale i giovani realizzano vita e carriera all’estero (11 novembre 2024)
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI
La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica. |
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QUANDO GLI STUDENTI SI PRENDONO LE CITTÀ [La Repubblica, 11 novembre 2007]
Il delitto di Perugia è destinato a lasciare una traccia profonda sull'opinione pubblica. è divenuto e resterà argomento di prima pagina, per i giornali, le tivù, i blog. Per i dialoghi di vita quotidiana. Perché riguarda dei giovani, studenti universitari, provenienti da diversi paesi. Perché è avvenuto a Perugia. Interessa molti, tutti. Perché quasi in ogni famiglia c'è un figlio (spesso "unico") o una figlia (unica) che, finite le scuole dell'obbligo, proseguono gli studi. Vanno all'Università. E, sempre di più, si "allontanano" da casa. Si recano in un'altra città. Dove risiedono, per alcuni anni, per alcuni giorni della settimana, per alcuni mesi l'anno. Per un periodo, spesso, si recano all'estero, dove proseguono gli studi, utilizzando il "programma Erasmus". Per la maggior parte dei giovani l'esperienza universitaria costituisce un passo - non l'ultimo - verso l'età adulta (in una società che non vorrebbe invecchiare). Perugia, sotto questo profilo, è una città speciale. Attraente, per i giovani e le loro famiglie. Perché è di taglia medio-piccola. Bellissima. Tanta storia, arte e cultura, comunicate dal paesaggio urbano. E', dunque, una città piccola, ma con una università qualificata e cosmopolita. Ai genitori suggerisce un ambiente di studio e di vita "sicuro". Agli studenti: una permanenza interessante e divertente. Per questo, episodi drammatici e violenti, come la morte della giovane Meredith, se avvengono a Perugia sorprendono particolarmente. Anche se possono avvenire e, infatti, avvengono dovunque. Tuttavia, Perugia soffre di una sindrome da "spaesamento", comune a molti altri centri urbani in cui è cresciuta, da qualche tempo, la presenza universitaria. D'altronde, le "città universitarie" di taglia piccola e minuscola sono numerose, in Italia. Soprattutto nel Centro. Nella zona intorno a Perugia. Penso, anzitutto, alla "mia" Urbino: 14.000 abitanti e circa 18.000 studenti, compresi molti stranieri. E poi: Camerino, Macerata. Sull'altro versante: Cassino, Siena. Per limitarci alle università "storiche". Però, negli ultimi anni, si sono moltiplicate. In Italia, attualmente, si contano 94 Università (una quindicina sorte nell'ultimo biennio) e circa 130 Istituti di Alta formazione artistica e musicale. Senza contare le numerose sedi locali. D'altronde, quasi tutti i giovani, dopo le superiori, tentano di conseguire la laurea. Tre anni più, spesso, altri due. Perlopiù lontano da casa. Quasi un rito di passaggio alla conquista dell'autonomia. Come, un tempo, per gli uomini, il servizio militare. Per cui, insieme alle Università, si sono sviluppate vere e proprie "zone" per studenti. Quartieri giovanili. Città nelle città. Anzi, talora la stessa città è confluita nell'Università. Come Perugia. Dove i residenti si sono trasferiti in periferia, dopo aver "ceduto" (o meglio "affittato") il centro storico agli studenti. Così, sono sorte città quasi totalmente abitate da studenti universitari. Dove il commercio, l'economia, l'edilizia, ruotano completamente intorno a loro. Per non parlare dei locali (fast food, pizzerie, birrerie, pub). A Urbino, quando vedi passare uno della mia età, non hai dubbi: o è un turista (ma allora è sbracato e armato di guida) oppure è un docente. Non c'è alternativa. Una città nella città, dicevamo. Però non è esatto. Perché la città, per essere tale, deve avere una popolazione con solidi legami sociali e locali. Radicata e proiettata nel contesto. Una città, per essere tale, deve essere abitata da una popolazione la cui vita è orientata da istituzioni, regole, autorità. Nelle città universitarie ciò non avviene. Gli studenti sono "popolazione" di passaggio. Non hanno radici locali. Né la prospettiva di restarvi per la vita. Pagano affitti alti per un appartamento condiviso con altri studenti. Non lo possono percepire come "casa propria". Case, strade, piazze: per questi giovani di vent'anni, "lontani da casa", sono uno "scenario". Dove trascorrono il tempo, dopo lo studio. E si divertono senza responsabilità. Per contro, gli abitanti "veri" beneficiano di questa situazione, perché la "città degli studenti" è un luogo di consumo remunerativo. Da sfruttare al massimo. Ma, al tempo stesso, ne soffrono. Perché la vita diviene, inevitabilmente, poco sicura. E, al tempo stesso, cara. Mentre si diffondono commerci e traffici illeciti. E crescono il "rumore". La confusione. Il giorno e soprattutto le notti. Che tendono a diventare sempre più "bianche". Sempre più lunghe. Le relazioni fra studenti e residenti, per questo, risultano difficili. Delineano due mondi distinti. D'altronde, il municipio si occupa, soprattutto, della vita e della sicurezza dei "suoi" residenti. Che, perlopiù, abitano in periferia; all'esterno della "città universitaria". Quindi, le istituzioni intervengono solo di fronte a "eccessi" davvero "eccessivi" (visto che l'eccesso, dove non esistono limiti, diventa norma). Il problema maggiore diventa non di "polizia", ma di "pulizia". Visto lo stato miserevole in cui restano strade e piazze, dopo alcune "feste", particolarmente riuscite. Le autorità di Ateneo, da parte loro, si occupano di quel che avviene dentro alle aule e alle mura dell'università, durante gli orari di svolgimento delle attività accademiche. Università e istituzioni procedono, perlopiù, senza incrociarsi. Così, gli studenti appaiono quasi apolidi, privi di cittadinanza. L'idea del "campus" americano, spesso evocata, qui non regge. Perché negli Usa il campus è direttamente governato dall'Ateneo. Uno spazio pensato e organizzato per gli studenti. In funzione della loro formazione, della loro vita e della loro sicurezza. Nelle "città universitarie", invece, i giovani sono affidati, principalmente, alla regolazione dei consumi e del mercato. Non funziona, per loro, neppure il vincolo sociale e comunitario. Perché non sono una società e neppure una comunità. Ma una umanità immersa in relazioni, in larga parte, transitorie. Fitte ma senza impegno. Pensiamo ai personaggi principali della tragica vicenda di Perugia. La vittima: Meredith, una giovane inglese. Le persone coinvolte: Amanda, giovane statunitense; il suo ragazzo, Raffaele, pugliese; infine, Patrick, il musicista congolese. Insomma: un mondo sperduto nel contesto locale. Un glocalismo senza radici, senza legami sociali e comunitari, come ha osservato Francesco Ramella. Un retroterra che, certamente, non può venir considerato la "causa" di episodi tragici, come questo. Ma li rende possibili, spiegabili. Così come, più che altrove, alimenta i casi di depressione. Che, talora, sfociano nel suicidio. I giovani. Lontani dalla famiglia, dalle istituzioni, dalle regole. In un ambiente dove le occasioni di "evasione" sono diffuse; dove i "limiti" si perdono. Sono più vulnerabili. Esposti a momenti di depressione. Solitudine. D'altronde, sono studenti. Debbono rispettare scadenze, "compiti", esami. Perché, va precisato, l'impegno loro richiesto dall'Università è rilevante. Ma la distanza fra l'Università e la vita nella "città universitaria" diviene, talora, una frattura. E può generare fallimenti molto dolorosi. Perché minano l'autostima dei giovani. E il loro rapporto con i genitori. Che investono molto sui loro "figli unici", dal punto di vista finanziario e del progetto familiare. Queste "città universitarie": non sono città. I quartieri studenteschi delle medie e grandi città. Non sono quartieri. Sono "zone senza sovranità". Senza autorità. Senza comunità. Un po' centro commerciale, un po' villaggio turistico, un po' "pub diffuso". Verrebbe da evocare quelli che Marc Augé definisce i "non-luoghi". Ma ci sembra improprio. Perché questi "luoghi" hanno un'identità e radici storiche profonde. Solo che i "nuovi" residenti ne sono estranei. Peraltro, si tratta di ambiti dove le persone intrattengono relazioni fitte. Ma, perlopiù, temporanee, poco impegnative. Meglio, allora, parlare di "luoghi apparenti", popolati da una "gioventù apolide". "Città artificiali" in cui cresce una generazione di "non-cittadini". |
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